09/10/2025Fare Vibe coding significa programmare?
Secondo il report “The state of Vibe Coding 2025” di v0, il vibe coding sta riscrivendo le regole dello sviluppo software.
Giusto per citare qualche dato:
- Quello che prima richiedeva 100 esperti ora richiede meno di 10 persone
- Le startup AI-native stanno raggiungendo più di $100M di ARR (Annual Recurring Revenue, metrica fondamentale per valutare la crescita e la solidità economica di una startup) in mesi, non in anni
- Il 63% degli utenti non sono sviluppatori, sono: PM, designer, marketer, imprenditori
Ma è importante capire bene anche i rischi:
- Problemi di sicurezza: deploy insicuri, database mal configurati, segreti esposti
- “Vibe coding” significa non leggere il codice, ed è pericoloso senza protezioni integrate
In questo articolo, vedremo nel dettaglio che cos’è il vibe coding, come è nato, quali sono i vantaggi ma anche i rischi.
Partiamo da due esempi pratici.
Immagina due scenari:
1️⃣ Un team marketing vuole sviluppare una semplice app per la creazione di link tracciati per semplificare il processo.
E ora che c’è l’AI diventa semplice farlo. Basta chiedere in linguaggio naturale a strumenti come Replit o Lovable di creare un’app e lo fanno.
È super veloce e non serve avere particolari basi di programmazione. E magari i programmatori in azienda hanno tempo per concentrarsi su altre attività a valore (e più complesse da gestire).
Rimane comunque un aspetto molto importante: la qualità del risultato dipende in larga parte da come viene formulato il prompt. Scrivere istruzioni chiare, precise e coerenti è fondamentale per ottenere applicazioni realmente utili ed efficaci.
Al contrario, un prompt generico o confuso può portare alla creazione di soluzioni poco performanti, con il rischio di compromettere sia l’esperienza d’uso sia la percezione del valore dello strumento.
2️⃣ Una startup fintech decide di implementare una logica di calcolo delle commissioni sulle transazioni con vibe coding.
Usando Cursor o GitHub Copilot, sviluppano un’app in grado di farlo. Ma in realtà, questo caso è molto più complesso di quello descritto sopra…
Può succedere che il codice non gestisca correttamente i casi edge (transazioni con valori negativi, arrotondamenti su più decimali, valute diverse). E dopo il deploy, alcuni clienti vedono addebiti errati e si generano reclami e che causano anche un danno reputazionale.
In produzione servono robustezza, test esaustivi e audit del codice.
E arriviamo a noi: che cos’è il vibe coding? 🙌
Il vibe coding è un approccio alla programmazione reso possibile dai modelli linguistici di grandi dimensioni (LLM), in cui lo sviluppatore non scrive più direttamente il codice riga per riga, ma descrive l’idea e l’obiettivo in linguaggio naturale, lasciando che l’AI generi il codice.
Il ruolo umano diventa quindi quello di guidare, correggere e validare il lavoro dell’AI.
Il termine in sé è stato istituito da Andrej Karpathy, co-founder di OpenAI, ex responsabile AI in Tesla e tante altre cose…
Ti consigliamo molto il suo canale YouTube. I suoi video sono dei deep-dive in cui spiega diversi concetti di AI e Deep Learning molto complessi in maniera semplice e comprensibile.

Karpathy stesso ha descritto il vibe coding come:
“fully give in to the vibes, embrace exponentials, and forget that the code even exists.” (in sostanza, abbandonare la sintassi rigida e trasferire all’AI il compito tecnico, mentre la persona si concentra sull’idea, sul risultato, sul flusso).
Questo argomento, però, è abbastanza divisivo. Troviamo:
- Gli entusiasti: quelli molto entusiasti del vibe coding (anche troppo forse).
- Gli scettici: quelli che pensano sia un approccio molto negativo, in quanto, potrebbe aumentare sempre di più il debito tecnico.

Analizziamo meglio i due punti di vista e proviamo a dare una risposta alla domanda iniziale: “Fare vibe coding significa programmare?”.
Vibe coding: gli entusiasti 🔥
Per anni, programmare è stato dipinto come un mestiere in cui devi imparare sintassi a memoria, ottimizzare algoritmi e seguire regole ferree.
Ma la verità è che il coding è sempre stato anche improvvisazione. Scrivi, sbagli, correggi, copi da forum, incolli, provi di nuovo.
Prima di ChatGPT c’era Stackoverflow che, con tutti i suoi difetti, aiutava molto chi doveva lavorare col codice tutti i giorni.
Il vibe coding si collega molto all’improvvisazione e all’andare per tentativi nella speranza che poi tutti i pezzi si incastrino e tutto funzioni.
E il motivo per cui piace a molti è che è leggero, ti fa sentire libero di costruire anche se non sei un full-stack engineer.
Ma c’è un “però”.
E qui arriviamo agli scettici.
Vibe coding: gli scettici 😶🌫️
In realtà, il loro punto di vista è molto semplice. Quando metti in produzione qualcosa di scritto solo “a vibe”, senza basi solide, senza pensare a sicurezza, scalabilità, performance, ti ritrovi con applicazioni che:
- si rompono al primo imprevisto: basta un input leggermente fuori standard e l’intera logica va in crash
- non reggono la crescita: se provi a far entrare 100 utenti contemporaneamente, il sistema esplode e diventa inutilizzabile
- diventano facili bersagli: le falle di sicurezza sono così evidenti che chiunque può sfruttarle, con danni potenzialmente enormi per dati e reputazione
- divorano risorse: consumano memoria e CPU in modo inefficiente, facendo schizzare i costi e rallentando tutto
- si trasformano in un debito tecnico costante: ogni nuova feature diventa un incubo da integrare, perché la base non è stata pensata per evolvere.
Sviluppare un pezzo di software, spesso non è solo “scrivere codice” ma concepire tutta l’architettura: i microservizi, la potenza delle macchine che ti serve, l’infrastruttura…
E per farlo servono esperti con esperienza, non è sviluppabile da chiunque.
Anche perché spesso nel software, ci sono delle best practice poi da seguire e non è detto che ChatGPT o Cursor sviluppino delle app seguendo le indicazioni del codice, per cui sta allo sviluppatore seguirle.
Ti faccio un esempio: se tu scrivi uno script Python che deve prendere degli argomenti da CLI (Command line interface), modelli come GPT te lo scrivono usando “argparse”. Però, l’approccio considerato più moderno, pulito e “pythonico” è usando click invece che argparse.
In altre parole, senza fondamenta solide, costruire applicazioni significa accettare di vivere in un castello di sabbia: all’apparenza bello, ma destinato a crollare al primo colpo di vento.
E arriviamo al punto…
Fare Vibe coding significa programmare? 🤔
Dipende tutto dal modo in cui si decide di fare vibe coding.
È un ottimo metodo per fare esperimenti, per imparare, per costruire prototipi, per mostrare delle demo o piccole app molto semplici.
Ti fa entrare nel mondo del codice senza spaventarti, ti permette di imparare giocando e di sviluppare la mentalità giusta: quella curiosità che ti spinge a creare, a capire, a smanettare.
Ma se stiamo parlando di software che deve reggere il mondo reale (gestire pagamenti, dati sensibili, infrastrutture aziendali), serve coding vero: architettura, testing, documentazione e review.
L’approccio ideale è quello di unire il meglio dei due mondi.
Da un lato, fare vibe coding consente di procedere rapidamente, di dare forma alle intuizioni in prototipi concreti, di testare idee senza l’eccessivo peso di vincoli o procedure.
Dall’altro lato, abbiamo l’approccio fondato su una solida preparazione tecnica: la conoscenza dei principi di progettazione, delle architetture scalabili, delle pratiche di sicurezza e delle metodologie per garantire performance e affidabilità.
È la dimensione che conferisce stabilità, sostenibilità nel tempo e capacità di evolvere senza compromettere la qualità complessiva del sistema.
Mettere insieme queste due prospettive significa costruire un equilibrio: sfruttare la velocità e la creatività del primo approccio, ma incanalarle entro strutture robuste e ben progettate.
In questo modo, ciò che nasce come intuizione veloce può trasformarsi in un prodotto solido, sicuro e capace di crescere.
In definitiva, il vibe coding permette di passare dall’idea al prototipo in tempi record, liberando i programmatori da molta della fatica ripetitiva.
Ma proprio perché abbassa le barriere, non significa che chiunque possa improvvisarsi developer: serve consapevolezza tecnica per capire cosa l’AI sta generando, riconoscere bug nascosti e garantire la solidità del codice in produzione.
Non so tu che ne pensi…
Ma se sei d’accordo con noi, con molta probabilità hai avuto qualche problema da gestire in produzione a causa di codice creato in “vibe coding”.

Ma c’è anche l’altro lato della medaglia: capire questi errori significa aver fatto esperienza, aver imparato sulla pelle cosa vuol dire scrivere software che funziona davvero.
E sono proprio queste competenze, il saper unire velocità e solidità, che oggi soprattutto fanno la differenza nel mercato del lavoro.
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Scritto da Alexandru Nicolae Cublesan - Tech Content Creator @datapizza